L'ospedale di Reggio Emilia, un'eccellenza già dal Medioevo
Il dottor Corrado Debbi spiega l'evoluzione della sanità in provincia a partire dai primi luoghi di ricovero e assistenza per i poveri
REGGIO EMILIA Palazzo Rocca Saporiti ha ospitato una giornata di studi organizzata in occasione dei festeggiamenti per i 50 anni dell’ospedale Santa Maria Nuova. Dal medioevo a oggi è stata ripercorsa la storia della sanità in Italia e a Reggio con gli interventi di storici e medici quali Claudio Baja Guarienti, Donatella Lippi, Danillo Morini e Italo Portioli.
Dai primi ospizi per i poveri dell’alto medioevo fino all’Irccs, il massimo riconoscimento per un ospedale ottenuto da Reggio per la sua eccellenza in campo oncologico. Alla giornata di studi di ieri ha partecipato anche il dottor Corrado Debbi, medico del Santa Maria, che ha avuto il compito di raccontare la vicenda degli ospedali di Reggio, dalla loro nascita ai tempi attuali.
Dottor Debbi, quando nasce a Reggio Emilia il concetto di sanità? Quando cioè la salute dei reggiani diventa una questione pubblica?
«Dobbiamo risalire alla seconda metà del 300, quando avviene il salto di qualità. Prima esistevano solo piccoli ospedaletti da 3 o 4 posti letto, che servivano per i viandanti, per i poveri e anche per qualche malato. In sostanza erano luoghi dove i poveri potevano andare a dormire. I ricchi avevano la possibilità di curarsi con le proprie risorse. Il protagonista a Reggio di questa stagione della sanità è Pinotto Pinotti, segretario dei Visconti di Milano che nel 1371 comprarono Reggio da Feltrino Gonzaga. Era anche parente del vescovo Lorenzo Pinotti. Inoltre era ricchissimo di suo e sapeva di legge. In pratica comprò tutto il quartiere di Borgo Santa Croce compresi la chiesa di Santa Maria e l’ospedale attiguo. Vi fece un convento che diede ai Carmelitani».
Ma in quelli che lei chiama ospedaletti, che tipo di cure venivano prestate?
«Delle gran pacche sulle spalle. Quando andava bene la terapia era un bicchiere di vino con un piatto di minestra. Pinotti fa il salto di qualità perché mette due medici e venti letti, che erano tanti».
[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:foto-e-video:1.11037765:MediaPublishingQueue2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/reggio/foto-e-video/2015/03/13/fotogalleria/il-vecchio-ospedale-santa-maria-nel-borgo-santa-croce-1.11037765]]
Chi manteneva questo ospedale?
«Pinotti organizza una rendita fondiaria a disposizione di quello che già allora si chiamava Santa Maria. Ci mette anche una gestione amministrativa buona, con quattro fidecommissari, due religiosi e due civili, uno in rappresentanza dei notai e l’altro degli avvocati. Questa era la grande novità, perché fino a quel momento la sanità era una questione dei religiosi».
La scienza medica a quell’epoca a che punto era?
«Siamo al passaggio dalla pura e semplice carità all’assistenza vera. Avere due medici non era cosa da poco perché in tutta Reggio ce ne saranno stati 3 o 4. A Reggio si diventava medici come allievi di un maestro che faceva lezione teorica in studio e che se li portava dietro quando andava a curare. Reggio va un passo avanti, nel 1571, quando viene conferito al collegio dei medici di Reggio il diritto di laureare. L’insegnamento viene attaccato all’ospedale, è in corsia, come oggi. Reggio già allora era pri ma della classe».
Andando avanti nei secoli, come si evolve la sanità reggiana?
«Nel 1450 c’è un accorpamento di tutti i piccoli ospedale. Ne restano solo due grossi, il Santa Maria e il San Matteo che era anche lui dentro le mura. L’ultimo era per gli esposti, i figli di nessuno, il Santa Maria per i poveri, infermi e qualche viandante. nel 500 viene rifatto ex novo il Santa Maria ed è quello il momento del salto di qualità, con l’università e i medici laureati. In quel momento la città era forte perché stabile politicamente e ricca grazie all’arte della seta. E’ l’epoca della sistemazione delle basiliche. Reggio diventa bella».
[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.11038620:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.11038620:1649446645/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]
Quando cominciamo ad avvicinarci a una sanità come quella che conosciamo oggi?
«Nella seconda metà del 700, con l’Illuminismo e il ducato di Francesco III. L’ospedale non è più un luogo di accoglienza per mendicanti, il duca riteneva che l’assistenzialismo non facesse altro che creare altri poveri. Rifà l’ospedale che è quello che è arrivato fino a noi negli anni ’60 del 900. Ci sono i reparti di medicina, chirurgia, ostetricia; siamo finalmente differenziati. Era comunque riservato al massimo a 60 malati poveri ritenuti curabili, per tutti gli altri c’era la possibilità di usufruire di una specie di medicina di base con assistenza a domicilio. Quello che costava era dare da mangiare, le medicine erano poche e venivano distribuite dall’ospedale».
Questo ospedale quindi resiste nella sua struttura muraria fino alla seconda metà del 900. Ma qual è stata la sua qualità nel corso di questo 200 anni? In che cosa eccelleva?
«La qualità è stata buona. Abbiamo scritti del medico Assalini, primo chirurgo dell’esercito francese e poi primario ostetrico a Milano, che dice che quello di Reggio era il meglio gestito fra gli ospedali che aveva visto. E lui aveva girato tanto, il suo era un giudizio affidabile. La vera differenza nei reparti si ha dopo la prima guerra mondiale, quando il Santa Maria diventa ospedale di riferimento della zona. Prima c’erano 15 ospedali in provincia dove tutti facevano un po’ di chirurgia e di medicina. Invece dopo la grande guerra i reparti da cinque diventano dieci con l’inserimento di specialistiche come oculistica, pediatria. Nel ’33 i reparti addirittura raddoppiano».
Com’era la situazione negli anni 60, quando si decise che era il momento di cambiare?
«In realtà la decisione di trasferire tutto era stata presa molto prima, appunto dopo la prima guerra, perché la popolazione era cresciuta tanto e l’ospedale era troppo vecchio. Il primo progetto era nella zona dove poi è stato fatto il Mirabello, nel 1921. Non se ne fece niente, e nel ’44 l’ospedale venne bombardato. Per cui rifare tutto diventò impellente. Si fecero accordi con Rocca Saporiti che diede una parte di terreno su cui si fece lo Spallanzani che ospitava i malati di Tbc. Poi si arrivò alla costruzione del Santa Maria Nuova, rimasto come scheletro fino all’inizio degli anni ’60».
Quando venne inaugurato, 50 anni fa, quali erano le eccellenze del Santa Maria?
«Venne recuperato un progetto dell’università di Milano che per quanto riguarda la struttura era molto avanti. Manfredini lo portò a Reggio».