‘Ndrangheta, ecco il vocabolario del clan
Estorsioni, affiliazioni e soldi illeciti. Il linguaggio in codice usato dalle cosche per compiere le loro attività illegali
REGGIO EMILIA. Parlano in codice, ricorrendo ad un vocabolario conosciuto solo in parte. È il linguaggio della ‘Ndrangheta, sul quale gli uomini della Dda hanno lavorato e stanno lavorando per decifrare al meglio le conversazioni avvenute all’interno dei clan. «Una terminologia – si legge nelle carte dell’Operazione Aemilia – utilizzata dagli affiliati per indicare concetti, situazioni o comportamenti di fondamentale valore simbolico e pratico». Sono i collaboratori di giustizia a fare luce sui termini usati dalla criminalità organizzata: parole apparentemente comuni, ma che nel linguaggio in codice delle ‘ndrine nascondono significati ben diversi rispetto al loro uso corrente.
GUARDIANIA. È il pentito Giuseppe Vrenna a spiegare agli inquirenti il significato del termine, che indica una pratica considerata antica ma ancora molto utilizzata dalle cosche: quella di dare incarico ad un guardiano di controllare un cantiere o un centro commerciale, garantendo gli introiti alla cosca e protezione mafiosa all’imprenditore amico. Vrenna lo spiega durante un interrogatorio davanti ad un ufficiale di polizia giudiziaria. «Allora, uno che va... si mettono a costruire hanno bisogno di un guardiano per non rubare...», dice. Poi aggiunge: «Come guardiano... come simbolo... sa che c'è questo qui e sanno che nessuno deve andare a rubare lì! Ed ogni mese gli tolgono un tot...millecinque, duemila euro a seconda il lavoro che si deve fare...».
FARE IL DOVERE. È sempre Vrenna a spiegare il significato dell’espressione, usata quando qualcuno consegna al clan il denaro spontaneamente, senza minacce o ricatti. «“Fare il dovere” è uno che lo fa senza essere ricattato di estorsione... “Fare il dovere” è uno che bonariamente ti dà una certa cifra (…) Non mi deve dare... è sempre un'estorsione voglio dire... però quello fa un dovere così, bonariamente...». Una forma di estorsione subdola: «Qual è la differenza tra quello che uno ti fa l'estorsione e quello che invece fa il dovere?», chiedono gli inquirenti. La risposta? «Che vado lì...vado e li pretendo i soldi, invece da quell'altro vado, siccome siamo amici...».
IMBASCIATA (O 'MBASCIATA). È un termine dialettale, considerato universale nella ‘Ndrangheta, attraverso il quale avviene un passaggio di consegne su comunicazioni importanti e riservate. Informazioni che devono avvenire esclusivamente a voce. «E' un termine che si usa fra di noi... “Mi ha portato un racconto di una persona...di una ‘mbasciata”... noi diciamo nel dialetto nostro...». La ‘mbasciata, infatti, non può avvenire telefonicamente: «Non voglio chiamare... mi ha portato di persona...mi ha portato delle novità».
LA MAMMA. Se le ‘ndrine sono gestite da famiglie, il loro capo è la mamma. Lo chiarisce il collaboratore di giustizia Angelo Salvatore Cortese, quando spiega che il capo della cosca «per noi sarebbe come una mamma che ci accoglie (…) sarebbe un significato che la mamma, la mamma è la persona, la figura che accoglie i figli simbolicamente. Poi c'è la mamma, sempre la mamma dobbiamo andare».
Un ruolo che, dalle carte dell’inchiesta, per i cutresi sarebbe rivestito da Nicolino Grande Aracri: «Prima era Dragone... Grande Aracri Nicolino, è lui quello che accoglie tutti, appacifica, è quello che decide su tutto, cioè l'ultima parola spetta sempre a lui, però i lavori ... – spiega Cortese – diciamo gli affari giornalieri che sia droga, rapina, un'estorsione non è che mandavi subito l'ambasciata là, perché lui diceva "fate" "più fate e meglio è", ha capito no, poi dopo alla fine scendi, c'è una persona è fatto, abbiamo fatto questo qua, qua c'è il coso, basta e lui deve sapere tutto perché 'na cosa che scappa ... non esiste una cosa che faccio una cosa di nascosto...».
AMICO NOSTRO. È l’affiliato, come racconta un altro collaboratore di giustizia, Francesco Oliverio: «Noi intendiamo… noi diciamo se non è affiliato diciamo "un amico", ti presento un amico!… se è un affiliato è "un amico nostro!"… e noi capiamo che è un affiliato…».
FARE IL FIORE. Ha un doppio significato. Ed è un termine utilizzato soprattutto dai cutresi: indica un pagamento al clan ma, se usato con riferimento ad una persona, rappresenta anche un’affiliazione concessa. «Allora, il discorso del fiore è interpretato in due modi – spiega ancora Oliverio – Allora, se diciamo .. io sto parlando con lei .. diciamo .. eh: "Tizio ci deve riconoscere un fiore, ci deve dare un fiore" .. allora si parla dell'estorsione, si sta dicendo che quello ci deve pagare (…) Se invece diciamo: "Vede, l'avvocato è una brava persona, ci dobbiamo riconoscere un fiore", vuol dire che è prossimo a essere affiliato».
Un termine che, nel suo primo significato, trova estensione in qualunque pagamento a favore del clan, realizzato da persone che per amicizia o per un tornaconto si offrono spontaneamente. «È il caso del politico in cerca di voti o dell’imprenditore che si rivolge in amicizia all'organizzazione per ottenere un vantaggio, non fosse altro che la protezione mafiosa», scrivono i magistrati.
«Faccio un esempio – racconta ancora il pentito – quando si fa una campagna elettorale, si .. si .. noi creiamo un cordone politico .. non scambio di voti e basta, proprio attiviamo 'sto cordone .. creiamo questo cordone politico, partendo da Regione e Provincia, e finendo al Comune. Perché di già noi siamo in tanti.. in più chi fa l'imprenditore, chi fa .. chi c'ha tanti figli, chi c'ha tanti cugini, solitamente al 99 per cento, arriviamo allo ..inc.., che una persona prescelta, il politico prescelto da noi, al 99 per cento vince le elezioni».
BACINELLA. È la cassa comune, dove vengono messi tutti i soldi dell’organizzazione, da spendere per le armi o in altre attività criminali. «Quando per dire c'era 'sta bacinella comune, si facevano 'ste.. si versavano 'sti soldi in questa bacinella comune, arrivati ad una certa cifra si attivavano delle attività».
Tutto il denaro sporco viene gestito da un’unica persona, che svolge il ruolo di contabile all’interno della cosca: «Cercavamo sempre un 'ndranghetista magari ancora incensurato, di tenerlo pulito e a gestire magari .. invece di andare a spacciare droga e rovinarsi perché prima o poi lo arrestavano, che ne so, si intestavano e ..inc.. attività. Che a fine .. ogni tre o quattro volte all'anno giustamente si chiedeva un resoconto».