L’addio di don Ciotti all’amico Lorenzo
Il fondatore della Collina ricordato con affetto: «Azionava prima il cuore e poi il cervello, era di una generosità audace»
«Lorenzo diceva che siamo amati da Dio e perciò dobbiamo riamarlo, ma possiamo farlo solo amandoci tra di noi. In troppi amano Dio e basta. Abbiamo bisogno di una società dove ci educhiamo a riconoscerci uguali come cittadini, ma diversi come persone. Constatiamo di continuo che gli altri sono intorno a noi, ma Lorenzo ci ha insegnato che sono anche dentro di noi». Così don Luigi Ciotti che ieri ha officiato i funerali dell’amico don Lorenzo Braglia, fondatore quarant’anni fa della comunità La Collina a Codemondo e in seguito di altre esperienze «dove si condivide tutto e dove ci si sostiene l’uno con l’altro».
In una chiesa di San Giuseppe gremita è stato più volte sottolineato come «a caratterizzare la vita di don Braglia è stato il pensiero missionario, l’ansia d’apertura. Un modo di essere Chiesa modellato sulle comunità apostoliche delle origini, dove tutti si trovavano fianco a fianco, dal Papa all’ultimo battezzato». Ed è stato proprio questo spirito d’apertura al mondo, respirato nel Concilio Vaticano II, che lo aveva portato ad abbracciare in pieno la vita del missionario e a spendersi per gli altri. Senza fare distinzioni e aprendo le porte a tutti.
Accanto a don Luigi Ciotti, ieri mattina, anche don Ercole Artoni e l’ex vescovo di Reggio, Adriano Caprioli. E accanto alle presenze politiche istituzionali, da Ugo Ferrari a Sonia Masini, da Luca Vecchi a Matteo Sassi, non è voluto mancare Luciano Ligabue accompagnato dall’immancabile Claudio Maioli. Affettuose e commoventi le parole spese da don Ciotti: «Sei stato - ha detto rivolgendosi all’amico Lorenzo - un grande esploratore della vita ma anche capace di scendere nelle profondità dell’animo umano». «Lorenzo - ha continuato - azionava prima il cuore e poi il cervello, era di una generosità audace. Non era distante dalla vita politica, ma era libero. Voleva una Chiesa indipendente da qualsiasi potere economico e politico, una Chiesa povera e sobria». E insieme alle sue comunità, in libertà, ha sempre portato avanti con forza le istanze sociali dei più deboli. «Don Lorenzo – racconta uno dei suoi ragazzi, o figli, come si definiscono loro stessi - ha insegnato a non chiedere la carità e aspettare l’aiuto del volontariato, ma a pretendere giustizia sociale».
Don Braglia è stato un padre per molti, e dalla sua esperienza sono nati tanti progetti simili al suo. E anche diverse cooperative. Un segno di affetto è stato portato da alcuni ragazzi di una comunità sorta a Roma ma, com’è stato sottolineato, «all’ombra della Collina». E la funzione religiosa, nonostante le tante persone in lacrime profondamente addolorate, si è trasformata in un ricordo collettivo, come avrebbe voluto lui. Pane e vino sono arrivati dalla comunità La Collina, i fiori dalla cooperativa la Vigna, l’olivo dalla comunità nata a Roma. Perfino dal Brasile sono arrivati doni, per celebrare il don missionario che aveva frequentato e amato quel Paese. E un paio di infradito, per ricordare che «la strada è il luogo dell’incontro», come ha concluso l’amico don Ciotti.
Ivan Rocchi
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