L’opera di Orsi “dimenticata” dalla mostra
Novellara: “Il ratto di Ganimede” utilizzato come immagine simbolo ma il pittore non è citato
NOVELLARA. Da qualche tempo sulle pagine dei maggiori quotidiani nazionali viene frequentemente e con molta evidenza pubblicizzata la mostra in corso, fino al 15 giugno, nel Museo d’Arte della città di Ravenna “L’incanto dell’affresco. Capolavori strappati, da Pompei a Giotto, da Correggio a Tiepolo”. L’immagine riprodotta è “Il Ratto di Ganimede” di Lelio Orsi (Novellara 1511-1587); cosa che non risulta nè nella pagina pubblicitaria nè nelle note di presentazione della mostra, dove è citata una ventina di pittori (da Giotto al Perugino, da Raffaello ai Carracci e così via) ma non Lelio Orsi.
Ai novellaresi che hanno riconosciuto l’opera del loro illustre concittadino, da una parte la cosa fa piacere, dall’altra da abbastanza fastidio la non citazione dell’autore: vi leggono una ancora non superata tendenza alla sottovalutazione di un pittore che Giuliano Briganti ha definito «uno dei più affascinanti protagonisti, in territorio emiliano, di quell’età crepuscolare illuminata drammaticamente dagli ultimi bagliori del Rinascimento ma ancora immune dai rigori dell’arte senza tempo della Controriforma». Il Ratto di Ganimede (vedi foto) è stato realizzato intorno alla metà del Cinquecento sulla volta del camerino di donna Costanza (vedova del conte Francesco Gonzaga), al piano terra della quattrocentesca Rocca di Novellara, dall’Orsi, per oltre mezzo secolo pittore e architetto alla corte dei Gonzaga di Novellara. Strappato e portato su tela nel 1845 per ordine di Francesco IV d’Este, è finito, come molti altri affreschi che decoravano la Rocca, nella Galleria Estense di Modena, dov’è tuttora esposto. (v.a.)