Gazzetta di Reggio

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L’intervista al regista Daniele Abbado

L’intervista al regista Daniele Abbado

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13 luglio 2012
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REGGIO

Da giorni è in Giappone, a Hyogo, dove sta allestendo la regìa di una Tosca, l’opera pucciniana che andrà in scena giovedì prossimo con la direzione del maestro Yutaka Sado e che prevede otto repliche, peraltro praticamente già esaurite al botteghino per un teatro da 2.200 posti. Daniele Abbado anche dall’altra parte del mondo sta seguendo con attenzione le vicende delle quali è protagonista: il suo avvicendamento alla direzione artistica dei Teatri reggiani è ormai cosa fatta, tanto che il sindaco e l’assessore Catellani hanno già ufficialmente annunciato la prossima uscita di un bando di concorso per valutare altre candidature. Abbado – da un decennio mente e braccio operativo della Fondazione teatri, autore di tutti i cartelloni – una conclusione di questo tipo non sembra volerla digerire. Nè per il modo né per i contenuti di cui il suo avvicendamento si sta riempiendo.

Abbado, si attendeva questa sostituzione?

«Se ne parla ormai da qualche mese».

Che opinione si è fatto su quanto sta accadendo?

«Ci sono diverse cose che non capisco, o forse le capisco anche troppo bene. Io posso dire che in questi mesi di crescenti difficoltà per i teatri, dovuti alle ristrettezze economiche, ho tenuto molto a mantenermi in rapporto diretto con il sindaco per raccogliere i suoi consigli, e devo dire che Delrio non me li ha mai fatti mancare. E qualche tempo fa mi ha posto il problema di una alternativa a me, ma l’ha fatto in modo positivo. “Io lascerò – mi ha detto – e ti chiedo di aiutarmi a cercare un giovane che garantisca la qualità e la linea mantenuta in questi anni dai nostri teatri”. Adesso però non so se sta succedendo proprio questo, anche perché il bando di concorso io non l’ho visto. Io non porrò alcun ostacolo alla ricerca di un giovane direttore artistico che sia davvero capace ma non voglio nemmeno essere complice di cose poco chiare».

Cosa intende dire con “cose poco chiare”?

«Sono mesi che queste cose poco chiare succedono. Io prima parlo con il sindaco, poi vado in consiglio di amministrazione e scopro che questo si comporta in maniera completamente diversa. In dieci anni di lavoro non era mai successo. Fra l’altro ci troviamo nel mezzo di una situazione paradossale. Siamo tutti in scadenza: alla fine dell’anno finisce il mio contratto, scadrà quello del sovrintendente Gherpelli, scade anche il consiglio di amministrazione. Non è chiaro nemmeno chi firmerà l’atto fondamentale della vita di un teatro che è la domanda ministeriale, un passaggio burocratico che di solito si svolge con un anno e mezzo di anticipo sul lavoro da svolgere».

Per cortesia, può spiegare cos’è questa domanda ministeriale?

«E’ l’atto con il quale si chiedono i finanziamenti per gli spettacoli che mandi in scena. Normalmente è redatto dalla Fondazione e firmato dal direttore artistico. Adesso non so nemmeno se dovrò essere io a lavorare per quello che si farà nell’autunno del 2013. E’ chiaro che chiunque arriverà, comunque sarà in difficoltà. Perché si troverà già in ritardo».

Lei parla di discrepanza fra quanto le dice il sindaco e quanto viene poi fatto dal consiglio di amministrazione. Ma è in grado di portare qualche esempio concreto?

«Reggio è sempre stata all’avanguardia con la sua proposta sui quartetti d’archi. Parlo con il sindaco e lo sponsor storico del festival (il gruppo Max Mara, ndr) per rilanciare questi eventi e Delrio mi dice di andare avanti. Vado in consiglio di amministrazione e mi segano il progetto».

Ma lei si è fatto un’ipotesi su chi sarà il suo successore?

«Non ne ho la più pallida idea e se anche avessi in mente qualche ipotesi me la terrei per me».

Ma qual è il problema che sta dietro la sua sostituzione? E’ un problema personale o è un problema politico?

«Non lo so, forse è meglio che io non risponda, perché come ho detto prima o non ho capito oppure ho capito anche troppo bene. Io posso invece segnalare quelli che sono i veri problemi. Abbiamo una Fondazione che è stata messa al muro dalle difficoltà economiche, in due anni le risorse arriveranno a segnare un -22 per cento. Eppure siamo riusciti a mantenere questa Fondazione in linea, e questo lo si deve all’equilibrio con il quale abbiamo lavorato e alla credibilità della quale godiamo nei confronti del pubblico, dei privati e del ministero. Vorrei richiamare tutti i soggetti interessati alla massima attenzione, perché il momento è difficile».

Ma se la situazione è così complessa come avete fatto a mantenervi in linea di galleggiamento?

«Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo lavorato duro. La nostra è l’unica Fondazione in Italia che si occupa di tutti i generi di spettacoli dal vivo e che opera su tre teatri. Da un pezzo abbiamo a che fare con il blocco del turn-over, abbiamo visto colleghi di lavoro che se ne sono andati e non abbiamo potuto sostituirli. In più c’è stato un aggravio della burocrazia. Se la Fondazione è in salute è perché dietro ci sono persone che lavorano con passione e competenza e vorrei che da tutto questo si uscisse salvaguardando comunque i teatri di Reggio».

Non le rimane qualche rimpianto?

«Odio i rimpianti. Lascio teatri che hanno una chiara identità. In un periodo di crisi siamo riusciti ad aumentare gli spettatori e gli incassi e per noi parlano i numeri, perché abbiamo cifre reali da esibire. Noi i biglietti li vendiamo, non organizziamo spettacoli gratuiti. Se produciamo schifezze, la gente non viene più».

Adesso è alle prese con questa Tosca in Giappone. Poi cosa ci sarà nel suo futuro?

«Le cose da fare non mi mancano. Quando qui sono le 9 di sera mi metto in contatto con gli uffici di Reggio e riprendo a lavorare per la Fondazione. Poi ho l’allestimento alla Scala del Nabucco».

Quando a Reggio si arriverà al bando di concorso, ha preso in considerazione l’idea di parteciparvi?

«Non parteciperò neanche dipinto».

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