Martina Belli, la voce che fa grande Reggio
Il giovane mezzosoprano nasce artisticamente all’istituto Peri Il debutto con Lucia di Lammermoor, poi i più grandi palcoscenici d’Europa
REGGIO
La cantante lirica te la immagini sempre seria, quasi altezzosa, capace di camminare sollevata da terra, poco incline al sorriso.
Invece Martina Belli il sorriso è capace di regalarlo, anche perché la natura le ha donato qualcosa di importante: una voce che è un’opera d’arte. Martina Belli è mezzosoprano, e per la sua Reggio è un biglietto da visita, la migliore testimonianza che il nostro territorio è una fucina di artisti e di ingegni.
Martina, non si è scelta un mestiere un po’ complicato? Non le tremano le gambe tutte le volte che il sipario si alza?
«Assolutamente sì, però c’è anche una grande ricompensa. Prima di entrare ho sempre il pensiero: “Chi me l’ha fatto fare”. Poi parte la musica e la paura ti abbandona. Partecipi di questo evento con le persone che ti sono venute a sentire, e questa è un’emozione che ti ripaga di tutto».
Quanta parte ritiene che Reggio abbia avuto nella sua vocazione artistica?
«Sicuramente mi ha fornito gli strumenti iniziali per aprirmi una carriera e per guardare al di fuori della città. A Reggio non ho seguito il classico percorso scolastico, ho subito cominciato a lavorare anche grazie alle persone che mi hanno coltivata, spingendomi a fare sempre nuove esperienze».
Ma quando canta, senza volere usare una retorica priva di significato, si sente un po’ ambasciatrice di Reggio in giro per il mondo?
«Mi sembra troppo, però sono molto contenta di far uscire la mia reggianità, sia per il mio accento sia per la mia espansività. Non è solo un fatto pittoresco, è anche una questione artistica. Le nostre radici sono qualcosa di concreto, di cui sono fiera e contenta».
A parte le esperienze scolastiche, però non ha mai cantato a Reggio. Perché?
«Due motivi. Intanto il vecchio adagio del nemo profeta in patria è sempre valido e poi è naturale per un artista che inizia cercare la propria strada lontano da casa».
Però forse qualcuno a Reggio avrebbe potuto accorgersi della sua carriera, visto che ormai è un’artista a livello internazionale.
«In effetti lavoro quasi più all’estero che in Italia. Qualcuno comunque si è accorto di me anche a Reggio e mi ha dato l’opportunità di esprimermi. L’ho fatto con piacere, ho cantato Bach nella chiesa di San Filippo su invito di Renato Negri per la rassegna Soli Deo Gloria, e anche al Mauriziano».
Rivolgendosi a un giovane che ha una bella voce, spieghi quante ore lavora al giorno.
«Non si quantificano, la voce non può lavorare più di qualche ora al giorno, però si deve affiancare la pratica allo studio teorico. Quindi l’impegno è notevole e non c’è mai una giornata uguale all’altra».
Qual è stato il suo primo personaggio in palcoscenico?
«Ho cantato nella parte di Alisa nella Lucia di Lammermoor di Donizetti, al teatro di Trapani. Avevo 20 anni ed ero anche parecchio incosciente. Mi sono buttata con gioia, senza pensare ai rischi del debutto. Alisa è una parte collaterale, è la confidente di Lucia, è un personaggio che non ha bisogno di una grande indagine emotiva ma è stato il mio primo incontro con il palcoscenico. Rimane una delle mie più importanti esperienze».
Dopodiché quanti personaggi ha interpretato?
«Teatralmente ho portato in scena sette ruoli, da Monteverdi a Strauss. Però il mio repertorio ne comprende anche molti altri, che ho studiato nel corso degli anni. Ho la fortuna di avere trovato davvero il mio maestro, Danilo Rigosa, la persona che per me è un punto di riferimento. E’ l’insegnante che mi ha fatto capire quali sono le cose necessarie per essere un’artista vera e che mi ha indicato il percorso giusto, fatto non di fretta ma di pazienza e gavetta».
Però avrà ormai maturato delle sue preferenze. qual è il musicista con il quale si trova più a suo agio?
«Per quanto riguarda l’opera non vedo l’ora di interpretare Carmen di Bizet e Dalila di Saint-Saens. In campo cameristico invece Brahms e Mahler».
Lei pensa che Reggio stia facendo abbastanza per quanto riguarda le scelte culturali?
«Reggio è di certo molto impegnata nella cultura, in certi casi si potrebbero convogliare meglio le risorse. In un periodo di grandi difficoltà, Reggio rimane comunque un punto fermo».
Allora cosa si sentirebbe di proporre per Reggio? Con quale opera le piacerebbe debuttare al Municipale?
«L’importante è che il Municipale rimanga un teatro vivo, perché è uno dei più belli d’Italia. Poi se la devo sparare grossa, mi piacerebbe lavorare con il maestro Claudio Abbado. Magari anche nel repertorio sinfonico, con il Mahler della seconda sinfonia o dei Kindertotenlieder».
Il caso vuole che lei sia mezzosoprano come l’altra grande cantante reggiana, Sonia Ganassi. Vi conoscete?
«Sì, ho avuto il piacere di conoscerla. Lei è davvero una grande star e rappresenta Reggio nel mondo in maniera superba».
Nei suoi confronti ha più ammirazione o più invidia?
«Tantissima ammirazione e un poco di invidia».
Dalle sue parole sembra che tutto abbia sempre funzionato alla perfezione. Ma non c’è mai stato un gradino nel quale è inciampata? Non le è mai capitato un fischio?
«In effetti adesso che ci penso un fischio non mi è mai capitato, però ci sono state serate meno riuscite. Mi sono rimboccata le maniche, ho ripreso a lavorare e sono andata avanti».
C’è chi dice, soprattutto in questa epoca di ristrettezze, che i cantanti lirici sono pagati troppo. Si sente una privilegiata?
«Quelli che hanno grandissimi cachet sono solo le star, i giovani che cominciano a fare un percorso di carriera nella lirica devono assolutamente essere sostenuti, perché i primi tempi sono durissimi».
Il suo prossimo ruolo?
«Al Bologna Festival, un concerto cameristico con musica dall’Ottocento ai giorni nostri».
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