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Isolato San Rocco, i commercianti: «Stanchi di tutto questo degrado». Casimiro: «Se non cambia me ne vado»

Ambra Prati

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Marco  Merola, titolare  di “Casimiro”
 

Dopo la rissa le proteste. Il negozio Casimiro: «Se non cambia, chiudo e me ne vado»

07 maggio 2024
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Reggio Emilia «Siamo stanchi di assistere al degrado e all’impunità. La nuova amministrazione comunale, qualunque essa sia, dovrà sedersi a un tavolo e rimettere al centro l’esagono». Si infervora Marco Merola: il titolare di “Casimiro” sotto l’isolato San Rocco e di “Casimiro essenza” di fronte al Credem si è fatto portavoce del gruppo di scontenti. «Gruppo formato non da soli commercianti, ma anche da residenti e imprenditori. Cinque le persone nel direttivo, speriamo che altri si uniscano a noi».


“Casimiro” è un negozio storico nell’isolato San Rocco. «Sono arrivato al punto da negare una visita a un’azienda perché mi vergogno del contesto». Erano di Merola le fioriere spaccate dal 17enne denunciato dopo la rissa di Capodanno. «Eppure non mi rassegno. Quelle fioriere le ho rimesse subito, nonostante il rischio di vederle rompere di nuovo, perché non ci si deve adeguare verso il basso. Io, che ho fatto della bellezza la mia bandiera, non mi riconosco più in questa città. Tanto che mi sono dato un anno di tempo: se la situazione non cambia, chiuderò entrambi i punti vendita e mi trasferirò altrove». Magari dietro l’angolo, come a Modena. «Domenica, quando ho appreso dell’accaduto al cellulare, ero in centro a Modena: pieno di gente, una bella atmosfera. Un altro pianeta rispetto a Reggio».



Come si è arrivati a questo punto anche Merola se lo chiede. «Sono stanco del politically correct. Non sono razzista: per me tutte le persone sono uguali e hanno gli stessi diritti e doveri. Se però i doveri sono sulle spalle solo di qualcuno c’è qualcosa che non va. Così come sono apolitico, ci tengo a sottolinearlo. Ho incontrato tutti e cinque i candidati sindaci e nemmeno sapevo i loro nomi; sono un imprenditore e giudico le persone in base ai risultati».



I risultati finora sono stati deludenti: un centro agonizzante e desertificato, che finisce per essere occupato dai malintenzionati. «Per carità, l’agonia dell’esagono ha tanti fattori e c’è ampio spazio per l’autocritica, da parte di noi commercianti. Però continuo a investire tempo ed energie nella speranza di unire le forze: cambiare si può, dipende da noi».

Un’ultima precisazione: «Chi ha partecipato alla rissa sono i soliti figuri che stazionano sotto i portici o nella distesa: sempre i soliti».

«Io mi chiudo a chiave dentro al negozio», afferma Martina Troncone, 21 anni, dipendente dello show room Porsche all’angolo dell’isolato. «Da quando, a dicembre, uno straniero passò lanciando il monopattino contro la vetrata (così, a caso), prendo qualche precauzione: soprattutto d’inverno, quando è buio fitto all’orario di chiusura, esco dal retro e mi dirigo velocemente verso il parcheggio all’ex caserma Zucchi. Cerco di stare attenta. E dire che mi sono trasferita qui da Milano; anche lì gli stessi problemi, se non peggiori». Dietro la vetrina, la commessa è una spettatrice attenta. «Ho assistito a cessioni di droga sotto i portici, alla luce del sole. Di risse ne ho viste due: l’ultima un mese fa, le solite persone che passano la giornata nella distesa e che hanno cominciato a lanciare tavoli e sedie. Non ragazzini: sono adulti. Alcuni scappano quando la polizia passa a chiedere i documenti, per poi tornare dopo cinque minuti».

«L’isolato un tempo era la vetrina della città. Ora il senso di sicurezza generale è al minimo storico: la clientela ha paura di venire qui. Siamo preoccupati di come possa essere percepita l’area – aggiunge Laura Zini della Spumanteria All’Opera –. A gennaio con la presenza della polizia si respirava un’aria diversa, poi è stata tolta e ci siamo sentiti abbandonati a noi stessi». 

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