Gazzetta di Reggio

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La lezione antifascista di Marisa Mammi al Galvani-Iodi

La lezione antifascista di Marisa Mammi al Galvani-Iodi

Le studentesse di 5ªD hanno intervistato la nonna quasi novantenne del loro professore di lettere Alex Ferrari.

07 maggio 2024
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Al Galvani-Iodi le studentesse di 5ªD hanno intervistato Marisa Mammi, reggiana doc, 90 anni ad agosto e una guerra nei suoi ricordi di bambina, nonna del loro professore di lettere Alex Ferrari.

Cosa sono e che ricordi ha dei rastrellamenti ? (Martina Ahmeti)

«I rastrellamenti sono stati quanto di più temuto dai civili. Nel 1944 e fino alla primavera del 1945, quando Reggio venne liberata dagli americani, i nazisti e i fascisti perquisirono le case alla ricerca dei disertori, di partigiani e di clandestini, per deportarli in Germania. Io avevo 10 anni e ricordo che tutti i bambini avevano paura: quando arrivavano, non si sapeva con cosa sarebbero andati via. A volte chiedevano di avere vivande o che fosse loro preparato il pranzo o la cena. Altre volte, prima di andarsene, chiedevano se ci fosse da pagare e ricordo che mia madre, non so con quale coraggio, riusciva, con garbo, a farsi pagare la consumazione».

Che cosa è stato l’allarme antiaereo ? (Banel Ka)

«Ai bambini e alle bambine come me raccontavano che al suono della sirena bisognava sfollare nei campi, perché voleva dire che “Pippo” bombardava le case. Si trattava di una credenza diffusa, ma del tutto infondata, perché le bombe potevano essere sganciate benissimo anche nei campi così come nei centri abitati. “Pippo” era il nome con cui veniva indicato l’aereo da caccia notturno che sorvolava le città e i centri abitati al calar della sera. Quando calava il buio c’era il terrore di tenere accese le lampade a olio, per timore che il bagliore attirasse i cacciabombardieri».

Dove ci si rifugiava durante i bombardamenti? (Safietou Gueye)

«Durante i bombardamenti c’erano i rifugi antiaerei, soprattutto in città. Ma spesso quando scattava l’allarme ci facevano sfollare nei campi».

Come si andava a scuola durante la guerra ? (Giorgia Lo Stimolo)

«Ho finito le scuole elementari nel 1945, perché durante i bombardamenti le lezioni spesso venivano sospese. La scuola a quei tempi era molto diversa rispetto ad adesso, mi ricordo che i primi giorni soffiai dentro il calamaio che conteneva l’inchiostro sporcandomi tutta la faccia. Per punizione la maestra mi fece girare così per tutta la scuola...per umiliarmi. Quando sono tornata a casa lo raccontai a mia madre e lei mi rispose “vuol dire che non hai fatto a modo, se la maestra ti ha punito significa che lo ha ritenuto giusto”. Avevo fatto una stupidaggine e ho imparato la lezione, sbagliando si impara».

Dov’era il comando tedesco a Reggio ? (Rim Azarkane)

«Il comando il comando tedesco a Reggio Emilia fu spostato nel 1944 nei pressi di Villa Ottavi-Terrachini, nella zona della latteria Giglio. Durante la Seconda Guerra Mondiale questa struttura fu il quartier generale delle forze occupanti tedesche. Dalla parte di mia madre erano mezzadri dei campi lì intorno e noi abitavamo in una casa colonica proprio davanti al comando tedesco».

Conosce qualcuno che ha ospitato dei rifugiati politici? (Makat Mbengue)

«Dopo l’8 settembre 1943 in casa abbiamo ospitato un nostro cugino che era fuggito come disertore. Era ricercato, perché aveva collaborato con i partigiani. Sotto l’appartamento c’era un piccolo ricovero murato, dove un tempo c’era un cavallo, che i nazisti avevano sequestrato. Avevamo fatto un buco nel pavimento, chiuso con mattoni a secco e sotto il letto dove dormivamo noi bambine: da questo buco nostro cugino passava per nascondersi quando c’erano in giro i nazisti e fascisti. Era un rischio altissimo: se lo avessero scoperto tutta la famiglia sarebbe stata fucilata».

Come si sopravviveva durante la guerra? (Valentina Ligabue)

«Si mangiava poco, i genitori si trattenevano molto per dare il poco cibo disponibile ai figli. Si andava nei campi per raccogliere il frumento. Non c’era il timore di essere traditi dai familiari o dai vicini di casa, ci si aiutava a vicenda come si poteva. Casa nostra era un’abitazione di contadini davanti al comando tedesco e alla sera dei soldati nazisti con il fucile giravano davanti alla casa per fare dei reclutamenti. Ogni sera noi eravamo obbligati a far entrare questi soldati in casa perché dovevano sorvegliare la strada, qualora passassero delle persone a loro non gradite».

Perché il sale era così prezioso? (Insaf Methnani)

«All’epoca lo si riusciva a trovare solo nelle tabaccherie, ma c’era carenza di lavoratori e quindi il sale che circolava era spesso merce di contrabbando. Ricordo che mia mamma partiva dal Parco Ottavi-Terrachini con la bicicletta e arrivava al di là del fiume Enza per rimediare un sacco di sale di oltre 10 kg, portandoselo a cavalcioni sulla bicicletta, che poi sarebbe servito alla conservazione degli alimenti».

Cosa si ricorda dell’educazione fascista? (Mankirat Kaur)

«Dipendeva tanto dai docenti, c’erano docenti che si facevano influenzare e seguivano un programma preciso, per senso del dovere, per paura o perché credevano veramente nei principi del fascismo. Gli inizi della scuola erano anche belli: la struttura era bella, ci facevano prendere il sole (lo imponevano le norme sull’educazione fisica del fascismo, perché il sole si diceva che irrobustisse le ossa), ci facevano fare ginnastica artistica. Tutto questo quando ho fatto la prima, poi le cose sono cambiate».

Si ricorda degli atti di violenza da parte dei fascisti? (Sara Fariss)

«Si, mi ricordo di molti episodi di violenza da parte dei fascisti, come quello che ha riguardato nonno Orlando, mio suocero. Aveva un carattere poco incline ad accettare i soprusi e non nascondeva, nemmeno pubblicamente, le sue idee. Una sera, dopo l’uscita dal lavoro, una squadra fascista lo aveva atteso, condotto in questura e mandato nel carcere politico di Ventotene. Ricordo quando nel 1941 o nel 1942 hanno obbligato tutte le donne a consegnare la propria fede e i propri ori per sovvenzionare la produzione di armi, a seguito dell’entrata in guerra. Se una donna non si presentava i fascisti controllavano nei registri anagrafici e in quel caso si presentavano a casa sua e lì era violenza».

Cosa facevano i partigiani? (Elisa Mastromarino)

«Nella nostra famiglia non c’era alcun partigiano, ma ho conosciuto alcune persone che lo erano e che vivevano vicino a me e alla mia famiglia. Oltre ad alcuni partigiani ho conosciuto anche delle staffette partigiane, una in particolare faceva la sarta e io ho lavorato per lei. Portava i viveri e l’occorrente da Reggio centro alla collina e su in montagna, dove i partigiani si nascondevano dai nazisti e dai fascisti».

Si ricorda quando ha preso la patente? Sappiamo che non era comune fra le donne… (Rukaiya Hamadou)

«La patente l’ho presa nel ‘62, a quell'epoca erano poche le donne che la prendevano, ma la nostra famiglia aveva la necessità di avere una macchina, perché avevamo preso un negozio di frutta, quindi per andare al mercato a fare rifornimento ci serviva un mezzo comodo. La nostra prima macchina è stata una Bianchina familiare. Ormai sono 62 anni che guido e anche se non faccio più viaggi lunghi perché alla mia età non mi fido, non ho mai fatto un incidente».

Quando ha avuto la prima televisione in casa? (Eliza Kodra)

«La prima televisione in casa l’abbiamo avuta sempre nel 62’, perché quando furono messe in commercio si trovavano solo nei bar e nei luoghi comuni. Per avere la televisione bisogna chiederlo alla cooperativa, dove c’era la sala sociale e dove ci si ritrovava».

Come si viveva durante gli anni ‘50-’60? (Eliza Kodra)

«Dopo gli anni ’50 ricordo lo scoppio delle lotte sindacali, come quella delle Reggiane, e poi la manifestazione dove furono uccisi i martiri del 7 luglio, nel 1960. Mio marito Bruno si era nascosto dietro il colonnato dell’isolato San Rocco, proprio mentre furono sparati i colpi mortali. Tantissime fabbriche chiusero contemporaneamente. Con le Reggiane sono nati gli artigiani, tantissimi meccanici e bravi operai del nostro territorio. Negli anni ’60 hanno introdotto i bagni in casa ma solo alcune case avevano questa possibilità. Mio marito e altri artigiani avevano fatto una società di impianti e allora, appena possibile, aveva portato l’acqua corrente nel nostro appartamento».l

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